Finalmente si spengono le luci del Festival di Sanremo, questo spettacolo che ogni anno monopolizza il piccolo schermo e le pagine dei giornali, invadendo la quotidianità dei comuni mortali. Il circo musicale si ripete puntuale, sempre uguale a se stesso, sempre pronto a fagocitare l’attenzione nazionale con una maratona interminabile di ore ed ore di musica, dibattiti, polemiche e spot pubblicitari mascherati da intrattenimento.
Mentre le guerre dilaniano il mondo, mentre centinaia di giovani soldati perdono la vita per difendere la loro patria e i loro ideali, noi ci ritroviamo incollati davanti a una sequenza di canzoni e lustrini, come se nulla fosse. Il Festival appare ogni anno più anacronistico, un monumento all’evasione fine a se stessa che stride con la drammaticità dei tempi che viviamo. In un’epoca in cui l’informazione dovrebbe essere priorità, in cui le notizie di attualità meriterebbero più spazio e attenzione, ci ritroviamo invece con i telegiornali ridotti a mere appendici dell’evento sanremese, trattando la kermesse musicale con la stessa importanza delle grandi questioni geopolitiche.
Al di là di qualche raro spunto artistico degno di nota, la musica proposta è sempre più omologata, priva di quella scintilla che dovrebbe caratterizzare un grande evento culturale. La macchina del Festival si autoalimenta, generando profitti per gli organizzatori e per la Rai, che ogni anno scommette su questo spettacolo come garanzia di ascolti. Ma a quale prezzo? Ore e ore di trasmissioni ripetitive, di promozioni forzate, di pubblicità manifesta e no, di retorica vuota e applausi a comando.
Sanremo non è l’Italia reale, è una fiction seriale, un racconto che non riflette l´oggettività del Paese, ma un’illusione confezionata per vendere sogni preconfezionati. Come già osservava Umberto Eco nella sua “Fenomenologia di Mike Bongiorno”, certi fenomeni mediatici sono lo specchio di una società che si nutre di rituali ripetitivi e prevedibili. Forse sarebbe il caso di mettere in discussione questo meccanismo, di smettere di celebrare ogni anno lo stesso spettacolo stanco e dirottare l’attenzione su ciò che davvero conta. Ma, si sa, il carrozzone non si ferma facilmente: finché ci sarà pubblico pronto a guardarlo, continuerà a marciare imperterrito.
Giuseppe Arnò
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