Capperi, l’eterna poesia dei ritardi ferroviari! Nulla racconta meglio l’identità di un Paese quanto un treno che non arriva e una sala d’attesa che non c’è. Una scenografia degna del miglior cinema d’autore, stile Russia di Dr. Zivago, ma senza la neve romantica e con molta più umidità. Addio alle nostalgiche panche di legno, quelle che scolpivano la schiena e l’anima, sostituite oggi da lussuose sale VIP e bar pieni di caffè fumanti e cornetti al burro. Ah, la modernità! Ma c’è chi, con spirito di certosina malinconia, rimpiange la rustica austerità di un tempo.
Nel frattempo, mentre il popolo si distrae con i minuti di ritardo dei treni e la mancanza delle antiche latrine pubbliche, ecco che le vere notizie passano silenziose. Notizie che scottano, tipo quella di un Partito Democratico che perde terreno come neve al sole, mentre Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d’Italia avanzano con passo deciso. Ma perché parlare di politica concreta quando possiamo indignarci per una seduta scomoda in stazione?
È un trucco vecchio quanto il mondo: panem et circenses. Solo che oggi il pane è un croissant e i circenses sono le indignazioni social sui ritardi dei treni. C’è chi si indigna davvero, con veemenza, perché la vecchia sala d’attesa non c’è più, come se l’assenza di una panca scomoda fosse il vero problema nazionale. Provate a contestare questa narrazione e preparatevi all’esilio sociale: fascista! Reietto! Senza diritto di parola! Un’accusa che ormai si lancia con la leggerezza di un like su Instagram.
Nel frattempo, sui social network impazzano analisi raffinatissime su questi drammi da bar dello sport, mentre le questioni fondamentali del Paese restano sullo sfondo.
E allora, signori, avanti così! Discutiamo pure del cuscino mancante sulle sedie delle stazioni o sulle nostalgiche vecchie latrine a uso gratuito, mentre il treno del buon senso passa e noi restiamo sul binario morto.
Redazione