Pericolo: un mestiere molto italiano

Ah, “Il pericolo è il mio mestiere”! Chi, tra i cinquantenni e oltre, non ricorda quella perla della televisione americana degli anni ‘90, con i suoi sette episodi che ci hanno fatto sentire tutti un po’ eroi? Ebbene, pare che il motto sia tornato di moda, non nei palinsesti televisivi, ma nella realtà della cronaca nostrana.

Prendiamo il caso di Cecilia Sala. La brava reporter, con il suo spirito d’avventura, ha deciso di sfidare il destino andando in un Paese che molti definirebbero una combo micidiale: a rischio, teocratico e con una certa predilezione per il sequestro di persone come hobby diplomatico. Risultato? Un carosello di emozioni, lacrime, abbracci, sorrisi e un’orchestra di media intenti a ripetere, in loop, il mantra del suo ritorno a casa. Ora che il clamore si sta placando, proviamo a guardare l’accaduto con un po’ di sano cinismo e senza quegli orpelli emozionali che tanto piacciono al pubblico.

La verità è che Sala si è avventurata dove non doveva. Punto. Se qualcuno le ha ordinato il reportage, poteva tranquillamente suggerire al suo direttore di andare lui in prima linea. Se invece è stata una scelta sua, allora possiamo davvero dire che “il pericolo è il suo mestiere”. Solo che il mestiere, in questo caso, ha scomodato mezza Italia, la futura amministrazione USA, i servizi segreti e il governo, con la presidente Meloni in versione pendolare tra Europa e Stati Uniti. Un’imprudenza personale che ha messo sottosopra mezzo mondo. Vi sembra normale?

Lungi da noi non gioire per il suo ritorno sano e salvo – ci mancherebbe! Ma festeggiare senza riflettere è come applaudire l’arbitro per aver finalmente fischiato un fallo evidente. Sì, bravo il governo, bravi tutti, ma possiamo parlare del costo di questa baraonda? Recuperi rocamboleschi, missioni costosissime e una giostra diplomatica da capogiro, tutto a spese dei contribuenti. Non ci navigavamo nell’oro ieri, figuriamoci oggi.

E qui arriva il vero coup de théâtre: i cosiddetti esperti televisivi, pronti a declamare che il successo dell’operazione è tutto merito dei “buoni rapporti diplomatici” con l’Iran. Beh, certo. Come no. La realtà è che la “chiave del successo” è stata ben altra. Una delle serrature si chiama Mohammad Abedini, ingegnere iraniano detenuto in Italia e in attesa di estradizione verso gli Stati Uniti. Quell’estradizione, diciamolo pure, con molta probabilità non avverrà mai. E poi, c’è la debolezza dell’Iran: schiaffeggiato dalla disfatta di Hamas e umiliato dagli israeliani che spuntano nei loro siti nucleari come funghi dopo la pioggia.

Insomma, che nessuno si illuda che l’Iran abbia improvvisamente deciso di essere più buono a Natale. Se Sala fosse stata neozelandese e Abedini detenuto in Nuova Zelanda il suo caso sarebbe finito esattamente nello stesso modo, solo che al posto dell’Italia ci sarebbero stati i kiwi a fare avanti e indietro.

Dunque? Torniamo al punto: perché non proibire a chiunque di andare in Paesi a rischio? Un bel divieto governativo, chiaro e forte. Certo, sarebbe meno romantico del fascino di un’eroina che sfida i pericoli per raccontare la verità. Ma almeno ci risparmieremmo lo sperpero di risorse pubbliche e un bel po’ di apprensioni e preoccupazioni. Governo, sei qui per risolvere problemi concreti: pensaci su.

Redazione

Foto estratta da filmanto TV Rai Italia

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