L’Europa che non vorremmo… ma che ci tocca

Era il 1941, su un’isola di confino, e alcuni visionari decisero di immaginare un’Europa nuova. Il Manifesto di Ventotene, si chiamava. Un sogno di libertà, unità, progresso. Peccato che, a leggerlo oggi, sembra più un mix tra un’utopia socialista e un manuale per annientare la democrazia in nome della rivoluzione.

“La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista.” Certo, perché tutti sappiamo quanto il socialismo imposto con la forza abbia funzionato splendidamente nel Novecento. E la proprietà privata? “Deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso.” Perché mai lasciare che le persone gestiscano i loro beni quando possiamo avere una burocratica e inefficiente macchina federale a farlo per loro?

Poi arriva il meglio: “La prassi democratica fallisce clamorosamente nelle epoche rivoluzionarie.” Tradotto: quando c’è da cambiare tutto, meglio farlo senza perdere tempo con la volontà popolare. La storia ci ha insegnato dove porta questo ragionamento, ma continuiamo pure.

Ora, con un’Unione Europea sempre più incerta, dobbiamo decidere se vogliamo un super-stato federale che dica agli Stati membri cosa fare e come farlo, oppure una confederazione di nazioni sovrane che cooperano senza cedere tutto il potere a un centro burocratico fuori controllo. Il sogno federalista, si dice, sarebbe la soluzione. Per chi? Per i tecnocrati che non vogliono rendere conto a nessuno? Per i grandi apparati che centralizzano tutto tranne le responsabilità?

E poi c’è la grande battaglia contro il “male assoluto”: il nazionalismo. Perché guai a voler preservare la propria cultura, la propria sovranità, le proprie tradizioni! Meglio un’uniformità insipida imposta dall’alto, con tanto di sanzioni per chi dissente.

Nel frattempo, il mondo cambia. Gli Stati Uniti non sono più così affidabili, la Russia invade, la Cina sorride sorniona e l’Europa… beh, discute di revisioni dei trattati e di allargamenti che renderanno ancora più caotico il suo funzionamento. Già oggi è difficile prendere decisioni con 27 membri: immaginiamo con 35 o più!

Si parla di “superare l’unanimità” introducendo il sistema maggioritario. Tradotto: pochi decideranno per tutti, e se un Paese si oppone? Problema suo. La voce dei piccoli Stati sarà marginalizzata, e il principio del consenso, che garantiva un equilibrio tra le nazioni, verrà sacrificato sull’altare della rapidità decisionale. Il rischio? Un’Europa ancora più distante dai cittadini, dominata da un’élite che decide in nome di un’unità che esiste solo sulla carta.

Il diritto di veto esiste all’ONU e non certo per caso. È stato pensato per evitare che decisioni cruciali vengano imposte con la forza della maggioranza, senza un effettivo equilibrio tra gli Stati. È uno strumento di garanzia per le nazioni più piccole, che altrimenti sarebbero schiacciate dai giganti geopolitici. Superare l’unanimità nell’UE significherebbe trasformare la democrazia in un gioco a somma zero, dove chi ha più peso politico impone la sua volontà agli altri, senza spazio per il dissenso costruttivo. Un’Europa così rischia di perdere il suo stesso senso: non più unione di popoli, ma dominio di pochi.

E così, mentre i cittadini faticano a pagare le bollette, affrontano crisi economiche e cercano di difendere il loro diritto a esistere come comunità, l’élite discute di come rafforzare il Parlamento europeo e la Commissione, centralizzare il potere e rendere l’Europa “più capace di agire”.

Sì, ma contro chi? Contro i suoi stessi cittadini?

Questa non è l’Europa che vogliamo. Ma, come sempre, è quella che ci tocca.

Giuseppe Arnò

 

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