L’Europa al bivio: Ursula, Draghi e il grande gioco tra le superpotenze

 

Con un sorriso sicuro e l’entusiasmo dosato di chi conosce le tempeste della politica internazionale, la rieletta presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha srotolato il tappeto rosso delle intenzioni per il futuro dell’Europa. La missione? Salvare il Vecchio Continente dalla duplice stretta delle due nuove “mirevoli colonne d’Ercole” globali: gli Stati Uniti, che blandiscono con i loro dollari verdi e le loro ambizioni egemoniche, e la Cina, che avanza con la sua via della seta 2.0, silenziosa ma inesorabile.

La scena è imponente: un’Europa che si trova nel mezzo, non più centro gravitazionale ma cerniera geopolitica, divisa tra il desiderio di rilanciare se stessa e il rischio di diventare, per l’ennesima volta, il terreno di scontro tra titani. In mezzo a questo contesto turbolento, chi viene evocato come nume tutelare? Mario Draghi, ovviamente, un nome che ormai sembra risuonare come il mantra universale per risolvere problemi che vanno dalla finanza alla politica, passando per i biscotti troppo duri da intingere.

Von der Leyen ha fatto appello a una strategia europea che non può più limitarsi alla reattività o al semplice inseguimento. “Siamo strategici“, sembra voler dire, ma con quella risolutezza che rischia a tratti di sembrare un po’ scolastica. Eppure, dietro il richiamo al pragmatismo c’è un punto innegabile: l’Europa ha risorse, capacità tecnologiche, e persino un gusto per la retorica che le altre potenze possono invidiare. Ma riuscirà a metterle a sistema?

Il modello Draghi viene invocato non solo per la sua comprovata efficienza, ma anche per la capacità di parlare lingue diverse – quella dei mercati, quella delle istituzioni e, perché no, quella della politica dei gesti misurati. Resta da capire se questa Europa in bilico saprà trovare un equilibrio tra la volontà di autonomia strategica e il rischio di alienarsi uno o entrambi i suoi mastodontici partner-commerciali-nemici.

E qui si innesta la faccenda più ironica: se gli Stati Uniti e la Cina sono le anatre giganti che fanno onde nel laghetto globale, l’Europa si comporta ancora come un cigno preoccupato del riflesso. Ma forse è arrivato il momento di smettere di ammirarsi nell’acqua e di imparare, finalmente, a nuotare con decisione.

Con Draghi come ispirazione e Ursula come timoniere, il piano c’è. Ora manca solo di trasformare questa grande opera di self-branding geopolitico in qualcosa di più concreto. L’Europa può farcela? Speriamo di sì, se non altro per il bene del nostro croissant del mattino, che è ancora, ci sia consentito, il migliore del mondo.

Giuseppe Arnò

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