Les Cent-Jours di Trump: Democrazia a senso unico?

Ah, il déjà vu! Quando si parla di governi di destra, il teatro della critica si apre con un copione già visto: indignazione, ironia, accuse di autoritarismo. È uno spettacolo che si ripete con precisione implacabile, ogni volta che i “cattivi” vincono un’elezione. Curioso, però, come questa indignazione sembri unidirezionale. Quando la sinistra governa, i difetti diventano “visioni complesse”, gli errori sono “sfide da affrontare”, e le critiche appaiono sempre meno sonore.

Prendiamo Trump e i suoi primi cento giorni. Certo, le sue scelte sono polarizzanti, a dir poco. Ma non è proprio questo quel quid che distingue la democrazia dalla monocrazia? L’essenza stessa di una democrazia è permettere a visioni opposte di alternarsi al potere, anche quando non coincidono con le nostre. “L’idea di eleggere qualcuno per governare secondo un indirizzo ideologico? Si chiama libertà di scelta politica. Eppure, la stessa libertà sembra automaticamente sospetta se chi governa indossa una cravatta rossa invece di una azzurra.

La libertà di scegliere… o di criticare?

Partiamo dal principio: Trump governa come ha promesso in campagna elettorale. Ha delineato un’America più chiusa sull’immigrazione, più assertiva sul commercio, più “tradizionale” nei valori. È un’agenda discutibile? Certo, come tutte. Ma l’indignazione selettiva ha un retrogusto amaro. Perché non si sente lo stesso coro indignato quando un governo di sinistra applica politiche discutibili, magari minando i fondamenti economici di una nazione o ignorando i problemi della sicurezza?

Quando la destra avanza, ecco che arrivano i paragoni storici forzati, l’umorismo nero, le vignette apocalittiche, e le accuse di “autoritarismo”. Ma quando la sinistra è al timone, ogni problema è un effetto collaterale necessario di un progresso illuminato. Due pesi, due misure?

Decisioni forti, critiche sempre pronte

Donald Trump, ad esempio, ha scelto di agire. Bene o male, ha preso decisioni: sul clima, sull’immigrazione, sull’energia, sul genere. Queste scelte sono il frutto di una visione politica chiara e precisa. Eppure, i criticoni – quegli stessi che affermano di amare la democrazia – sembrano incapaci di accettare che la democrazia stessa preveda che, a volte, governi qualcuno con cui non si è d’accordo.

Se il governo di sinistra estende diritti o aumenta le tasse, è progresso. Se la destra restringe quei diritti o abbassa le tasse, è tirannia. Ma non è questa la bellezza della democrazia? La possibilità di scegliere direzioni diverse, anche radicalmente opposte?

L’indignazione selettiva non è progresso

La critica, se fatta bene, è linfa vitale per la democrazia. Ma quando diventa sistematica solo verso un lato dello spettro politico, si trasforma in una parodia. Forse è il momento di riportare alla memoria che non è solo chi governa ad avere una responsabilità, ma anche chi critica. Opporsi a tutto ciò che viene dalla destra non è un atto di virtù; è una forma di miopia politica.

La democrazia è fatta di alternanza e rispetto per le idee altrui, anche quando non ci piacciono e ci sono indigeste. Quindi, cari critici dalla sindrome di Galle, forse è tempo di accettare che la libertà di scelta politica non è solo un privilegio per chi condivide le vostre idee. È un diritto universale. Anche per chi vuole trivellare o costruire muri. E ricordate: criticare è un diritto, ma farlo con onestà intellettuale è un dovere.

Redazione

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