La Siria in fiamme: quando il caos diventa il nuovo status quo

 

E così, eccoci di nuovo a discutere di Siria, dove il caos non è solo uno stato transitorio ma una condizione permanente. Negli ultimi giorni, il Paese ha visto una “vibrante” (per non dire devastante) evoluzione della sua ormai decennale guerra civile, con milizie islamiste che avanzano, un esercito che si ritira in “maniera strategica” e un presidente che, se non fosse per l’occasionale comunicato telefonico, potrebbe benissimo essere un personaggio immaginario.

La presa di Aleppo: la nuova normalità

Il grande colpo di scena è stata la caduta dell’aeroporto di Aleppo, ormai nelle mani dei ribelli. Un aeroporto civile, si badi bene, perché anche in guerra ci piace mantenere un’apparenza di normalità. L’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani lo ha confermato, come se avessimo bisogno di un ulteriore timbro su un biglietto per l’inferno. Certo, il governo siriano definisce tutto ciò “temporaneo”. Ma come direbbe un ottimista patologico: “Il Titanic non è affondato, si è temporaneamente immerso”.

E Assad dov’è?

Il nostro amico Bashar al-Assad, invece, giura e spergiura che tutto va benissimo. Dalla sua fortezza di… ehm, ovunque si trovi in questo momento, dichiara con tono rassicurante che la Siria sconfiggerà i terroristi. Forse, ci tiene a ricordarci, con l’aiuto dei suoi “amici”. Leggi: Russia e Iran, che per ora sembrano più impegnati a cercare di capire chi comanda davvero nel teatro di questa guerra infinita.

Tajani e i connazionali: nessun pericolo (forse)

Nel frattempo, il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, si è affrettato a tranquillizzare tutti: “Gli italiani in Siria non corrono pericoli”. Sì, perché i ribelli, con la loro impeccabile professionalità, hanno promesso di non toccare cristiani, italiani o civili. Certo, nulla dice “affidabilità” come una promessa fatta da una fazione armata che ha appena preso d’assalto un aeroporto.

Il processo di Astana: il club della diplomazia inutile

Russia, Iran e Turchia ci ricordano ancora una volta del famoso processo di Astana. Un esercizio diplomatico che, a giudicare dai risultati sul campo, potrebbe tranquillamente essere un torneo di briscola. Tra dichiarazioni sulla sovranità della Siria e condanne agli attacchi ai consolati, è chiaro che il vero obiettivo è mantenere l’apparenza di fare qualcosa, qualunque cosa.

E il “cessate il fuoco” in Libano?

Ah, quasi dimenticavamo: mentre tutto questo succede in Siria, il Libano è improvvisamente diventato un’oasi di pace grazie a un cessate il fuoco. Qualcuno potrebbe chiedersi: perché le guerre non rispettano mai i confini nazionali? Perché sarebbe troppo semplice, no?

In conclusione, la Siria rimane il solito disastro multistrato: un cocktail letale di geopolitica, fanatismo e tragica incompetenza. E mentre i giocatori regionali continuano a ridisegnare le mappe, forse dovremmo prepararci all’ennesima ridefinizione della “normalità” in questa parte del mondo.

Nel frattempo, teniamoci stretti i nostri aeroporti civili. Potrebbero essere l’ultima cosa che ci rimane.

Giuseppe Arnò

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