La rivoluzione delle targhe a Roma e Milano. “Da oggi strade più inclusive, ma sempre caotiche!”

“Da oggi strade più inclusive, ma sempre caotiche!”

A Roma, una città dove anche i sanpietrini potrebbero avere una laurea in storia, le vie si organizzano come squadre di calcetto: tutte a tema. Un quartiere profuma di fiori, un altro ruggisce di antichi romani, e poi c’è il Quartiere Africano, che… beh, ha scatenato un dibattito acceso. Il sindaco Gualtieri ha deciso che prima di affrontare il caos dei trasporti o il Tetris dei rifiuti, bisogna “decolonizzare” le vie. Risultato? Addio alle descrizioni colonialiste sulle targhe: Tripoli non è più un “possesso italiano”, ma solo la capitale della Libia. Chissà se almeno le buche cambieranno nome.

Nel frattempo, Milano si fa ricordare per il suo metodo svizzero. Già dal 1785 (grazie agli austriaci), la città era ordinata con numeri civici e insegne precise. Le vie raccontano storie di mestieri come gli armaioli (Via Armorari), i fabbricanti di speroni (Via Speronari) e persino i berretti (Via Cappellari). Poi ci sono le vie nobiliari (tipo “Casa Bigli”) e le piazze delle celebrazioni, come Piazza delle Cinque Giornate o Piazza della Repubblica. Insomma, Milano è una storia vivente.

Morale? Mentre Roma si interroga su targhe linguisticamente corrette, Milano prosegue con i suoi racconti di nobiltà e mestieri, ricordandoci che le strade, oltre a condurci da A a B, portano con sé un bel pezzo di storia. A Roma si cambia nome, ma non si cambia passo, mentre Milano guarda il passato senza perdere la bussola.

Di Redazione

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