La Guerra Dimenticata che Minaccia Tutti: Il Sudan e il Cinismo Geopolitico

Una guerra dimenticata

Un campo profughi in Ciad a maggio 2023

 

Sì, dimenticata. Perché non è a due ore di volo da casa nostra. Perché non minaccia le nostre vacanze, i nostri mercati, le nostre rotte commerciali. Perché le immagini che arrivano da Khartum o dal Darfur non riempiono i notiziari serali né scatenano ondate di solidarietà social. Eppure, il conflitto in Sudan ha tutti gli ingredienti per diventare una polveriera internazionale. Ma finché resta una tragedia “per altri”, può tranquillamente restare relegata a qualche trafiletto in fondo ai giornali.

Nel mondo bizzarro e incosciente in cui viviamo, l’attenzione mediatica e diplomatica si accende solo se un conflitto soddisfa certi criteri non dichiarati, ma evidenti:

  • Se c’è di mezzo il petrolio

  • Se si toccano interessi strategici delle grandi potenze

  • Se chi combatte ha l’atomica in casa o in tasca

  • Se le immagini sono particolarmente scioccanti o vicine geograficamente (meglio se entrambe)

La guerra in Sudan? Troppo africana, troppo complicata, troppo lontana. Ma anche troppo sottovalutata.


Il Sudan in fiamme

La guerra civile scoppiata il 15 aprile 2023 oppone le Forze armate sudanesi, guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, alle Rapid Support Forces (RSF), una milizia paramilitare diretta da Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemedti”. Entrambi erano uomini del potere, ex alleati, oggi nemici giurati in lotta per il controllo del paese.

Dopo un anno di battaglie sanguinose, soprattutto a Khartum – abbandonata da milioni di civili – il conflitto si è spostato e intensificato in nuove zone, trasformandosi in una guerra a tratti hi-tech, combattuta anche con droni esplosivi di ultima generazione. E, secondo numerose fonti, con il diretto coinvolgimento di potenze esterne.


Gli Emirati Arabi Uniti e i droni “fantasma”

Tra le forze che avrebbero scelto un campo, spiccano gli Emirati Arabi Uniti, sospettati di armare e sostenere le RSF. I droni usati contro Port Sudan, città-rifugio del governo provvisorio sudanese, sembrano troppo moderni per provenire da scorte locali. Alcuni testimoni li descrivono come silenziosi, precisi, letali. Il sospetto? Che decollino da basi nel Puntland somalo o nel sud del Sudan, con tecnologia e logistica fornite direttamente da Abu Dhabi.

Il governo sudanese ha accusato gli Emirati di violare la propria sovranità e li ha ufficialmente dichiarati “forze ostili”. La reazione? La sospensione delle relazioni diplomatiche. Un evento grave, che marca un salto di qualità nel conflitto.


Un massacro che non interessa (quasi) a nessuno

Secondo le stime ONU, oltre 140.000 persone sono morte nel conflitto sudanese in due anni. La cifra, già scioccante, cresce ogni giorno: civili sterminati, città distrutte, milioni di sfollati. E mentre i miliziani RSF avanzano nel Darfur – la stessa regione teatro di un genocidio nel 2003-2005 – la comunità internazionale resta in silenzio.

Nel frattempo, una notizia gravissima ha fatto sobbalzare le cancellerie arabe: 18 ufficiali emiratini sarebbero morti in un raid aereo sudanese nella base di Nyala, dopo l’arrivo di un cargo carico – si sospetta – di armi. Se confermato, questo evento segnerebbe il passaggio da una guerra locale a un conflitto regionale.


Il rischio di un’escalation internazionale

Il coinvolgimento diretto degli Emirati, gli attacchi mirati contro Port Sudan e la radicalizzazione delle posizioni rendono la guerra civile sudanese un potenziale detonatore per l’intera area del Corno d’Africa e oltre.

Con gli Emirati già coinvolti, l’Arabia Saudita allertata, e gruppi armati attivi in zone contese tra Ciad, Libia e Sudan, la partita rischia di trasformarsi in un gioco pericoloso tra potenze regionali.

Una guerra civile africana che nessuno vuole guardare potrebbe diventare presto un nuovo fronte globale. Ma forse solo allora ce ne accorgeremo davvero.


Conclusione sarcastica, ma realistica

Se il Sudan avesse uranio, un oleodotto che arriva in Europa o una base NATO, oggi se ne parlerebbe ogni ora. Se i morti fossero in un paese dal nome più pronunciabile, sarebbe già iniziato un summit internazionale. Ma finché la guerra resta in Africa e le bombe non hanno passaporti occidentali, può restare una guerra dimenticata.

Fino al giorno in cui non sarà troppo tardi.

Di Redazione

Credit foto: Di Henry Wilkins/VOA – https://www.voanews.com/a/number-of-refugees-who-fled-sudan-for-chad-double-in-week-/7095241.htmlPubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=132039457

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