Gli Houthi, protagonisti mancati di un film che nessuno ha girato

C´è chi si straccia le vesti per le bombe americane in Yemen. Lacrime copiose per le vittime civili, indignazione a raffica, hashtag solidali. Poi, la stessa gente, davanti a un drone russo che si schianta su un palazzo a Kiev, scrolla le spalle: “Eh, ma la NATO…” – due pesi e due misure, il solito balletto ideologico.

Però qui non parliamo solo di doppi standard. Parliamo di uno dei più spettacolari atti di presunzione geopolitica degli ultimi anni: gli Houthi, alias “i partigiani di Allah”, un gruppo armato che ha deciso di irrompere in una guerra globale come se stessero entrando in una chat di gruppo dove nessuno li aveva aggiunti.

Lo Yemen, già messo in ginocchio da una guerra civile ultradecennale, carestie, collasso economico e una popolazione ridotta alla fame, ha pensato bene di aggiungere un po’ di pepe: bloccare le rotte commerciali nel Mar Rosso e lanciare droni contro Israele. Un modo creativo per dire: “Ehi, ci siamo anche noi!” Peccato che nessuno li avesse invitati.

Ma attenzione, perché il colpo di scena è dietro l’angolo. Questi non sono solo guerriglieri motivati e appassionati di slogan del venerdì pomeriggio. No, loro sono, con ogni evidenza, gli scugnizzi dell’Iran, i picciotti geopolitici di Teheran. Quelli che lanciano i sassi mentre il fratello maggiore, ben distante e ben armato, osserva soddisfatto da lontano. La retorica è autoctona, certo, ma l’armamentario? Beh, lasciamo perdere. È come dire che un ragazzino di quartiere è diventato un duro grazie ai video di YouTube… e a una cassa di Kalashnikov gentilmente offerta da papà.

Tra i loro ranghi, l’identità si mescola a una rabbia antica, gonfiata da anni di narrazioni anti-americane e illusioni di gloria panislamica. E così, mentre la loro capitale Sana’a cade a pezzi, sognano di dettare legge nei corridoi strategici del commercio mondiale. Gli effetti speciali li fornisce l’Iran, la regia pure, loro ci mettono l’entusiasmo – e qualche hashtag.

Ma la guerra non è un videogioco né un reality show: quando si tira la coda alla tigre, è bene avere un piano migliore che urlare “colonialismo!” ogni volta che si incassa un missile in risposta. E ora che sono “in ballo”, come dice il proverbio, non resta che ballare. Anche se, visti i risultati, pare più una recita scolastica finita male.

Chi ha seminato tempesta, ora si goda il ciclone. Scelto il palco, accesi i riflettori… e adesso? Applausi (amari) a scena aperta. O, per restare in tema, un bel inch’Allah e pedalare.

di Redazione

Foto credito: https://it.images.search.yahoo.com/search/images;_ylt=AwrNY5iVEvBn.3MIq2UdDQx.p=Yemen+wikipedia&fr=sfp&imgl=fsu&fr2=p%3As%2Cv%3Ai#id=14&iurl=https%3A%2F%2Fupload.wikimedia.org%2Fwikipedia%2Fcommons%2Fthumb%2F6%2F66%2FDjibouti_Yemen_Locator.png%2F1200px-Djibouti_Yemen_Locator.png&action=click

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