Che storia quella di Cecilia Sala! La giornalista si è trovata al centro di un intrigo internazionale non per il suo taccuino, ma per il suo passaporto. Altro che cronache scottanti: sembra proprio che sia diventata una sorta di “merce di scambio”. Un’italiana utile per trattative strategiche, come direbbe qualcuno, e il sospetto non è poi così infondato.
Ammettiamolo, noi italiani abbiamo un certo talento nell’alimentare il pathos delle situazioni drammatiche. Eppure, nel caso di Sala, il lato pragmatico della questione grida a gran voce: la sua professione non c’entra nulla con il suo arresto. Avrebbe potuto essere un geologo, un prete, o persino un imbianchino (massimo rispetto per la categoria), e il copione sarebbe stato lo stesso: violazione delle leggi islamiche, e giù in cella. Semplicemente, Sala si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Fine del mistero? Non proprio.
Il ministro degli Esteri Tajani ha recentemente dichiarato che “con l’Iran si è aperto un canale di dialogo” e che c’è una “certa disponibilità” da parte di Teheran. Traduzione: si sta negoziando. E chi è l’oggetto dello scambio? Pare proprio che il caso ruoti intorno a Mohammad Abedini Najafabadi, un ingegnere iraniano arrestato in Italia il 16 dicembre scorso su richiesta degli Stati Uniti, accusato di aver passato informazioni ai Pasdaran. Due arresti a tre giorni di distanza: pura coincidenza? Mmm… ci pensiamo su.
Ovviamente, vogliamo Sala di nuovo in Italia, sana e salva. Perché? Perché è una persona, una connazionale, una giornalista, e – va detto – del tutto incolpevole. Ma qualche domanda ce la poniamo: sapeva dove andava e a cosa stava andando incontro? Era davvero il momento giusto per un viaggio in Iran, con un clima geopolitico più esplosivo di un cenone di famiglia in cui si parla di politica?
Sulle teorie complottistiche, meglio stendere un velo pietoso: quelle abbondano sempre. Quanto all’idea che Sala possa trasformare questa disavventura in un trampolino per la politica, conoscendo la sua professionalità, sembra fantascienza. Ma si sa, il dubbio è l’ingrediente segreto di ogni buon dramma.
Resta un fatto: vogliamo che Sala torni presto. E il nostro governo? Beh, ha una bella gatta da pelare tra le mani. Decidere se e come gestire il caso Najafabadi senza trasformare tutto in uno scambio di figurine non sarà facile. Perdere la faccia, in questi casi, è sempre dietro l’angolo. Ma, dopotutto, chi ha mai detto che fare politica internazionale fosse una passeggiata?
Giuseppe Arnò
Foto: CC0 license
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