Diciamolo chiaramente al professor Prodi, ancora convinto che l’Eurozona sia il risultato di una cooperazione rafforzata tra i Paesi fondatori, che la realtà è ben diversa e che la creazione dell’euro segnò un vero e proprio strappo con gli Stati Uniti, Trump o non Trump.
Negli ultimi 25 anni, la moneta unica ha eroso almeno il 35% del mercato globale delle transazioni a scapito del dollaro. E solo degli ingenui potevano pensare che la NATO, l’ONU e gli altri organismi di cooperazione atlantica non ne avrebbero risentito. Oggi, queste istituzioni appaiono sempre più svuotate, ridotte a mere arene di discussioni senza impatto reale.
Ma ora l’Europa è a un bivio: se la politica isolazionista di Trump dovesse prevalere, il Vecchio Continente potrebbe trovarsi costretto a ridisegnare le proprie alleanze. E l’asse con la Russia potrebbe diventare non solo una possibilità, ma una necessità strategica. Non è un caso che proprio Putin abbia spesso evocato una visione geopolitica più ampia, quella dell’Eurasia: un blocco esteso dalle Azzorre a Vladivostok, capace di ridefinire l’ordine mondiale.
Uno scenario che non è passato inosservato nemmeno a Trump, il primo a guardare con interesse a Mosca. Perché? Forse perché sa che una “Grande Europa”, forte della sua estensione continentale e della sua potenza economica, potrebbe trasformarsi in una superpotenza nucleare e industriale capace di dettare le regole del gioco globale.
Con 700 milioni di abitanti, risorse immense e un apparato produttivo gigantesco, questa nuova entità geopolitica avrebbe il peso per cambiare gli equilibri mondiali. E non è un caso che Cina e India, con i loro problemi interni di sovrappopolazione e sottosviluppo, potrebbero guardare con interesse a un assetto più bilanciato e meno incentrato sulla potenza militare.
Uno scenario che merita di essere analizzato con attenzione. Chiedere a Sergio Romano, che questi equilibri li ha studiati a fondo.