Quando il segreto diventa pubblico e il dovere si confonde col potere: cronache di una nazione che non smette mai di stupire
Che delizia essere spettatori in un Paese dove ogni dossier è un po’ come una soap opera: un intreccio di potere, misteri e qualche risata amara. Guardiamo ai recenti eventi riguardanti il dossier dei Servizi con lo stesso spirito con cui si guarda un dramma shakespeariano: una commedia degli errori in cui ognuno gioca il suo ruolo, chi come vittima, chi come carnefice, chi come… inconsapevole protagonista.
La trama è già un piccolo capolavoro: da un lato, i Servizi, intenti a proteggere il Paese con discrezione (o almeno ci provano); dall’altro, documenti che passano dalle mani dell’intelligence a quelle della magistratura e infine a quelle dei giornalisti, come se giocassero a un’allegra partita di rubabandiera. Nel mezzo, i protagonisti del grande circo della politica e della giustizia, intenti a domandarsi – o forse a non domandarsi affatto – chi sia davvero responsabile e cosa si debba fare per fermare questa giostra di fughe di notizie.
Non si comprende più dove finisca il dovere e inizi il potere. La legge sui Servizi, quella che dovrebbe garantire riservatezza e rigore, viene trattata con la stessa serietà con cui si rispetta il limite di velocità su una superstrada deserta. Il risultato? Un dossier riservato che si trasforma in un’esclusiva editoriale, e una serie di accuse incrociate che fanno venire il dubbio che qualcuno abbia dimenticato il significato della parola “riservato”.
Una domanda sorge spontanea: siamo ancora capaci di discernere tra ciò che deve rimanere segreto e ciò che, per brama di potere o leggerezza, finisce per alimentare la spirale dell’indiscrezione? Forse dovremmo rivedere la definizione di “intelligence”: non più l’arte della riservatezza, ma quella dell’acrobazia legale, della navigazione tra cavilli, esposti e pratiche a tutela.
Ecco allora il quadro: i Servizi denunciano Lo Voi per aver diffuso un documento riservato. Sullo sfondo, un Paese in cui non si capisce più se gli 007 siano ancora al servizio dello Stato o vittime di una Babilonia amministrativa in cui regole e regolamenti servono più a confondere che a proteggere.
L’Europa ci osserva, e cosa vede? Non il fiore all’occhiello che dovremmo essere, ma un giardino botanico in cui ogni pianta cresce a casaccio. Gli altri Stati europei probabilmente si chiedono se dovrebbero inviare un manuale di istruzioni su come gestire la sicurezza nazionale. Noi, intanto, continuiamo a mescolare i nostri ingredienti con la leggerezza di chi non ha paura di contaminare il risotto: zafferano adulterato, un pizzico di ironia, e quel retrogusto amaro che solo un pasticcio istituzionale può lasciare.
Concludendo, non siamo ancora una Repubblica giudiziaria, ma sembriamo essere una Repubblica dell’intrattenimento, in cui ogni fuga di notizie è un capitolo di un romanzo giallo che nessuno riesce a scrivere fino in fondo. Che si raschi la pentola, dunque, non solo per il prossimo risotto, ma per ricordarci che i Servizi sono lì per servire, e non per alimentare la Babilonia 007.
E vissero tutti intercettati e spiati.
Giuseppe Arnò