Quando la geopolitica si fa business: 57 minerali, una stretta di mano e l’arte di vendere la sicurezza al miglior offerente.
Altro che trattative segrete nella penombra del Cremlino o lunghe maratone negoziali a Ginevra: oggi la geopolitica si fa a colpi di litio e vanadio. È successo davvero. Nel cuore della notte, mentre i droni solcavano i cieli dell’Ucraina e le dichiarazioni di pace si rincorrevano su X come fossero post motivazionali, è stato firmato un accordo che ha tutta l’aria di una mossa da Monopoli globale tra Kyiv e Washington. Il premio? Niente meno che l’accesso a 57 minerali ucraini strategici, in cambio di investimenti e una partnership che somiglia parecchio a una polizza assicurativa stellata per Zelensky.
Altro che “terra dei cosacchi”: l’Ucraina diventa ufficialmente anche “terra delle terre rare”. E attenzione, perché dietro le parole felpate di “ricostruzione” e “allineamento strategico”, c’è un sottotesto molto chiaro: gli Stati Uniti, che hanno già speso 350 miliardi in aiuti, hanno appena comprato un pezzo d’Ucraina. Non la sovranità – quella, ufficialmente, resta inviolata – ma l’accesso a risorse talmente preziose da far sembrare le pepite d’oro dei film western un gioco da bambini.
E sebbene l’accordo non preveda garanzie di sicurezza scritte nero su bianco, siamo pronti a scommettere che da oggi in poi, ogni missile russo che si avvicina a un giacimento di titanio ucraino dovrà fare i conti con l’attenzione di Wall Street e del Pentagono. La guerra fredda sulle risorse rare è appena iniziata, ma intanto Kyiv ha segnato un punto pesante. Non è più solo la “terra di mezzo” tra NATO e Russia: è diventata un asset strategico su cui Washington ha messo il cappello, pardon, la bandiera a stelle e strisce.
E Putin? Se prima doveva preoccuparsi dei missili HIMARS, ora ha anche un fondo d’investimento paritario da fronteggiare. Altro che sanzioni: qui si tratta di azioni.
Giuseppe Arnò
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