È morto un grande uomo.
E io, nel mio piccolo, mi sento un po’ più solo.
Papa Francesco – perché di lui si parla, ovviamente – non era solo il Pontefice. Era una voce. Una presenza. Una coscienza che, anche quando ti faceva storcere il naso o ti tirava fuori dai gangheri, sapevi che era lì per un motivo più alto.
Sì, lo ammetto: più di una volta mi ha fatto incavolare. Per certe uscite, certe scelte, certi silenzi. Ma alla fine non potevo volergliene. Perché sapevo – sapevamo tutti, in fondo – che quello che diceva e che faceva era mosso da un’intenzione pura: fare del bene. Sempre.
Era politicamente schierato a sinistra, è vero. Ma in lui non c’era ideologia: c’era missione. La sua sinistra era quella del Vangelo, quella degli ultimi, degli scartati, degli esclusi. Accogliere tutti, amare tutti, ascoltare tutti. Questo era il suo vero programma politico.
Aveva scelto un nome francescano, ma nell’anima restava un gesuita. Intelligente, strategico, profondo. Con lo sguardo acuto di chi non si lascia ingannare, e il cuore aperto di chi sceglie ogni giorno di fidarsi dell’amore.
Mancherà.
A me, a noi, alla Chiesa, al mondo.
Ma sarà ricordato per sempre come un grande Papa.
E forse, anche come qualcosa di più.
Giuseppe Arnò
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