Lukashenko, Assad e il Grande Risiko del Mediterraneo: Mosca Tra Scacchi e Backgammon
È il caos geopolitico che si trasforma in spettacolo: benvenuti al circo delle potenze globali, dove le mosse di Putin non sono mai banali e ogni crisi diventa l’occasione per ridefinire il concetto di “pragmatismo”. La caduta di Bashar al-Assad, come neve al sole siriano, è solo l’ultima scena di un dramma che unisce il teatro mediorientale con il palcoscenico ucraino. E nel mezzo? Un Vladimir Putin che sorseggia tè sotto un ritratto di Caterina la Grande, pensando a come mantenere la posizione sul Mediterraneo senza perdere di vista il Dnipro.
Assad? “Era un caro amico, ma ora devo occuparmi di Lukashenko”
Che la Russia abbia accettato la fine del regime di Assad è ormai chiaro. Ma attenzione: Mosca non ha mai avuto un debole per le monogamie politiche. Lo dimostra il fatto che, mentre in Siria il governo si scioglie più velocemente del gelato a Tartous, il Cremlino si preoccupa di consolidare l’impero… o almeno di salvare Lukashenko. “Assad chi? Non so di cosa parliate,” sembra suggerire Putin mentre distribuisce pacche sulle spalle degli ufficiali russi impegnati a Khmeimim.
La strategia russa è invidiabilmente elastica: se non puoi tenere il leader, tieni le basi. Damasco è caduta? Nessun problema, Tartous e Khmeimim restano. Perché per Putin, il mare è più affascinante delle montagne di Latakia e il pragmatismo è l’arma segreta.
I ribelli con la licenza di (non) colpire
La caduta del regime siriano, facilitata da un’avanzata ribelle che ha ignorato strategicamente le basi russe, è come un giallo scritto male. “Strano, ma non troppo”, direbbe Hercule Poirot. Le teorie dietro le quinte suggeriscono che Erdogan abbia fatto da mediatore, garantendo ai russi che Tartous sarebbe rimasta al sicuro, almeno fino al prossimo capitolo di questa saga geopolitica.
Nel frattempo, l’imprevedibilità del jihadismo fa impazzire tutti. È il caos post-multilateralismo, dove non sai mai se il tuo nemico di oggi sarà il tuo alleato di domani. E con i talebani in visita a Mosca, il Cremlino sembra pronto a negoziare anche con il Diavolo, purché la base navale resti operativa.
Ucraina: una priorità con un costo
E mentre la Siria diventa l’ennesimo tassello del grande risiko globale, l’Ucraina resta il vero banco di prova. Qui la Russia non può permettersi passi falsi. La tenuta di Lukashenko diventa più cruciale della sopravvivenza politica di Assad: perché in questo scacchiere complesso, Minsk è la torre che protegge il re.
Certo, qualche osservatore ottimista potrebbe pensare che il disimpegno siriano preluda a una distensione sul fronte ucraino. Ma la realtà è che Mosca sta solo riorganizzando le sue pedine, spostando risorse da una battaglia all’altra senza perdere di vista l’obiettivo finale: vincere a tutti i costi, o almeno non perdere troppo platealmente.
Un Macron in cerca di redenzione
E l’Europa? L’Occidente, sempre in ritardo rispetto alla geopolitica creativa di Putin, cerca di improvvisare. Emmanuel Macron, ad esempio, è passato dal voler inviare truppe europee in Ucraina a diventare il mediatore di pace più fotogenico della storia, sorridente tra Trump e Zelensky. Una mossa che, se non altro, garantisce qualche punto di gradimento interno, sempre utile quando la politica estera fallisce ma si vuole salvare la faccia.
Conclusione: il Risiko non è mai stato così divertente
E così, la crisi siriana diventa un episodio tragicomico in cui Assad svanisce, Erdogan fa da regista, e Putin gioca a scacchi con un occhio sul Mediterraneo e l’altro sul fronte ucraino. In tutto questo, il mondo assiste, diviso tra ammirazione per il pragmatismo russo e confusione per una partita che sembra non finire mai. Ma dopotutto, chi ha mai detto che il Risiko fosse un gioco per cuori deboli?
Redazione
Foto Assad: credit Khamenei.ir